Come cambia la moda quando il mondo è in guerra?
È la domanda da cui parte Jessica, neodiplomata IFDA in Fashion Styling & Communication, nel suo progetto finale intitolato “1940s: la moda femminile italiana e americana durante la Seconda Guerra Mondiale”.
Un viaggio attraverso un decennio complesso, dove la creatività diventa resistenza, e lo stile – nonostante le restrizioni – continua a essere una forma di identità e libertà.
La moda tra due mondi: Italia e Stati Uniti nella guerra anni ’40
Durante il regime fascista, l’Italia viveva una profonda crisi economica e politica. Le sanzioni internazionali, l’isolamento e la scarsità di materie prime portarono al razionamento dei materiali e alla nascita di strategie autarchiche.
La moda non faceva eccezione: vennero introdotti materiali alternativi come il Lanital, una fibra artificiale ottenuta dal latte, simbolo di progresso e indipendenza economica.
In questo contesto, la donna italiana doveva incarnare l’ideale fascista: madre, lavoratrice e pilastro della famiglia. Gli abiti valorizzavano forme morbide e il punto vita, ma con l’avanzare del conflitto divennero sempre più pratici e funzionali, adattandosi alle nuove esigenze di lavoro e sopravvivenza.
Dall’altra parte dell’oceano, gli Stati Uniti rispondevano alle difficoltà della guerra con un approccio opposto: la moda americana diventava simbolo di ottimismo e modernità.
Designer come Claire McCardell rivoluzionarono il guardaroba femminile introducendo abiti leggeri, pratici e facili da lavare, pensati per le donne che lavoravano ma non volevano rinunciare alla femminilità.
Intanto, Hollywood – con dive come Rita Hayworth e Donna Reed – continuava a diffondere un ideale di eleganza e glamour, anche nei momenti più bui del conflitto.
Moda, propaganda e creatività sotto la pressione della guerra
La tesi di Jessica mette in luce come la moda sia stata anche uno strumento di propaganda.
In Italia, il regime fascista utilizzò cinema e riviste come Grazia, Lei e Bellezza per diffondere un’immagine di donna ideale: elegante ma sobria, devota e autosufficiente.
Nel frattempo, figure come Gitt Magrini, pioniera del costume cinematografico, dimostravano che la creatività poteva sopravvivere anche con pochi mezzi, reinventando tessuti e abiti già esistenti.
Negli Stati Uniti, invece, la moda dialogava con il cinema e la comunicazione visiva. Il costume designer Adrian Adolph Greenberg contribuiva a definire l’immaginario femminile hollywoodiano, unendo lusso, carattere e innovazione
Arte e cultura in tempo di guerra
Jessica esplora anche l’intreccio tra arte, politica e moda, raccontando come il fascismo e il nazismo utilizzarono l’estetica come mezzo di potere.
Artisti come Adolfo Wildt in Italia risposero al gusto monumentale e celebrativo del regime, mentre in America emersero movimenti come l’Espressionismo Astratto e il Realismo Sociale, che riflettevano le tensioni e le speranze del tempo.
Le immagini di Edward Hopper, con le loro atmosfere di solitudine, diventano simbolo di un’epoca segnata dall’incertezza ma anche dal desiderio di rinascita.
Cinema, sport e femminilità: la costruzione dell’immaginario
Il cinema e lo sport furono strumenti chiave nella costruzione dell’immagine nazionale.
In Italia, Cinecittà – nata nel 1937 – divenne il cuore della propaganda visiva del regime, mentre eventi come le Olimpiadi della Grazia (1939) celebravano l’ideale della donna come emblema di eleganza e disciplina.
Negli USA, film come Casablanca (1942) e le copertine di Vogue e Life raccontavano invece una femminilità forte, resiliente e moderna, capace di trovare bellezza anche nel sacrificio quotidiano.
Il messaggio: la moda come forma di resilienza
Attraverso un’analisi approfondita di fonti storiche, fotografiche e visive, Jessica dimostra che la moda non è mai solo una questione di tessuti o tendenze.
È un riflesso della società, dei suoi limiti e dei suoi sogni.
Negli anni ’40, le donne – in Italia come in America – hanno saputo reinventarsi, adattarsi e continuare a esprimere la propria identità anche quando tutto intorno cambiava.
Come conclude Jessica:
“La moda racconta la forza silenziosa delle donne durante la guerra.
In un mondo che imponeva sacrificio, loro risposero con eleganza, creatività e coraggio.”
Una tesi che guarda al futuro
Il progetto di Jessica non è solo uno studio storico, ma un invito a riflettere sul valore della moda come linguaggio culturale e politico.
Nel suo sguardo, la storia diventa ispirazione per le nuove generazioni di fashion communicator, chiamate oggi a costruire un futuro più consapevole, sostenibile e libero.
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